L’Arbitro Bancario e Finanziario, collegio di Roma, con la decisione n. 19620 del 19.08.2019, pubblicata il 01.06.2020, è tornato ad affrontare la questione dell’onere della prova nei casi di mancata annotazione delle operazioni di movimentazione sul libretto.
Secondo il Collegio capitolino, in adesione ai suoi precedenti, grava sulla banca l’onere di provare l’esistenza di movimentazioni non annotate sul libretto, precisando che, a tal fine, la banca non possa utilizzare le proprie risultanze contabili interne (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 25897 del 6.12.2018; Collegio di Napoli, decisione n. 9059 del 3.4.2019). Il dato normativo di partenza è rappresentato dall’art. 1835 c.c., secondo il quale, “se la banca rilascia un libretto di deposito a risparmio, i versamenti e i prelevamenti si devono annotare sul libretto” (comma 1) e “le annotazioni sul libretto, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante” (comma 2).
Nel caso affrontato risultava annotato sul libretto un saldo positivo esigibile e risultava presente la prescritta firma; e tanto rappresentava la prova offerta dai ricorrenti, nella qualità di aventi causa dell’intestatario, del loro diritto alla liquidazione del predetto saldo, vantato nei confronti della banca convenuta.
La banca resistente, invece, sosteneva l’esistenza sul deposito di un saldo positivo di gran lunga inferiore a quello risultante dal libretto, nonché l’avvenuta estinzione del rapporto, ed allegava a supporto di tali affermazioni evidenze informatiche, tratte dalle proprie scritture interne, nonché copie conformi dei rendiconti periodici relativi al libretto.
Al riguardo, l’ABF (Arbitro Bancario Finanziario), nella decisione in commento, ha fatto proprio un orientamento pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di libretti di deposito a risparmio, la particolare efficacia probatoria prevista dall’art. 1835 c.c., comma 2, si riferisce alle annotazioni che effettivamente figurino apposte sul libretto, senza che da ciò derivi una presunzione legale assoluta di compimento delle sole operazioni annotate, con la conseguenza che, secondo i principi generali in tema di prova, è sempre ammessa la dimostrazione che un’operazione di versamento o prelevamento di somme, benché non annotata sul libretto, sia stata effettivamente eseguita (v. Cass., 703/2006, n. 4869; Cass., 30/4/2005, n. 9096; Cass., 27/9/2002, n. 14014)” (così Cass. n. 13643 del 16.6.2014).
E nel caso di specie, sulla scorta di tale principio, il Collegio capitolino ha ritenuto che la banca resistente non ha fornito adeguata dimostrazione dell’esistenza sul libretto di deposito di un saldo diverso da quello in esso indicato. Specificatamente, ha rilevato la genericità delle evidenze informatiche prodotte da parte resistente ed ha rammentato che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 2710 c.c., le scritture contabili regolarmente tenute possono far prova, a favore di chi le produca, solo nelle controversie tra imprenditori e per rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. In merito alla valenza probatoria dei rendiconti periodici, allegati da parte resistente alle proprie controdeduzioni, ha rilevato invece che la banca non ha fornito la prova dell’avvenuta comunicazione degli stessi, prima del presente procedimento, al de cuius ovvero agli odierni ricorrenti, al fine di porli nelle condizioni di contestarne le risultanze (cfr., in relazione alla valenza probatoria degli estratti conto, Cass. n. 14887 dell’1.7.2014).
Pertanto, l’ABF, atteso che la parte resistente non ha fornito nessuna evidenza in relazione a quali movimentazioni (in particolare, quali prelevamenti) abbiano portato il saldo del deposito dalla somma indicata sul libretto a quella che risulta dalle evidenze informatiche interne alla banca, ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla restituzione dell’importo così come risultante a credito del libretto di deposito a risparmio, maggiorato degli interessi convenzionali da allora sino alla data del saldo.